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Sendero Ho Chi Minh

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Risalire in barca il Nuam Oou, uno dei...

Risalire in barca il Nuam Oou, uno dei tanti affluenti del Mekong, tra Niong Khiaw e Muang Ngoi, ripercorrendo una parte del vecchio sentiero Ho Chi Minh è il remake di Apocalypse Now. Allungata sul fondo della piroga di legno, all’ombra di una tettoia di lamiera, scrivo questi appunti. E' mattina, fa freddo, e un leggero nebbia ci accompagna. Non c’è dubbio che è questo il fiume del mio universo cinematografico. Incuneati tra pareti verticali, lo risaliamo. Da una parte all’altra del fiume montagne coperte di vegetazione che appaiono altissime. Grigio, verde e rosso. Grigio dell'acqua e delle rocce che spuntano qui e là. Verde degli alberi, palme e un'infinità di vegetazione sconosciuta abbarbicata alle rive. Radici aggrovigliate che sprofondano nell'acqua e quindi risalgono fino a metà tronco. Rosso di una terra, a tratti grassa, a tratti secca e polverosa. Anse, curve, mulinelli, rapide che la piroga supera dando motore. Persone che vivono lungo il fiume. Che lo navigano in canoe scavate nel tronco degli alberi o messe su alla meglio con due o tre grossi fusti di bambù. A pagaiare sono spesso dei bambini, a volte piccolissimi che sembrano seduti direttamente sull'acqua. Quando ci vedono passare ridono ma non sanno fare ciao con la mano. Talvolta salutano alzando in alto il pollice della mano. Sulle rive grossi maiali rosa, piccoli maiali neri, e tanti bufali d'acqua di cui si intravvedono appena il muso e gli occhi. Donne che lavano stoffe. Donne che lavano i figli. Donne che si lavano. Una frenetica attività lavatoria. Attraverso il fitto della vegetazione si intravvedono capanne su palafitte fatte di stuoie di bambù intrecciato. A tratti pezzi di montagna bruciati e nudi. Ogni tanto una capanna abbandonata. Probabilmente tagliano gli alberi, penso, alberi dai legni pregiati, teck, palissandro. E poi bruciano il tutto per rifare l'humus. Il capitano della barca tace. Quando qualcuno di noi accenna a spostarsi disequilibrando l'imbarcazione ci fissa infastidito. Ogni tanto qualcuno dalla riva lancia un grido verso la piroga chiedendo un passaggio. Prendiamo su un uomo che dopo mezz'ora sbarcheremo in mezzo al nulla, un poco più a nord, sulla riva destra del fiume. Una donna con due bambine piccole sale per scendere di nuovo nelle vicinanze di un villaggio. Su una montagna verticale di fronte a noi scorgo delle nicchie. Eremiti? Nascondigli? Depositi di munizioni? Il sentiero Ho Chi Minh percorreva questo fiume. E i vietcong lo utilizzavano per attraversare la frontiera con il Laos all’altezza di Dien Bien Phu. Valicavano le montagne fino a raggiungere il fiume e da qui scendevano in battello fino a Louang Prabang e e giù ancora più a sud fino in Cambogia da cui riuscivano a infiltrarsi nel Vietnam meridionale controllato dagli americani. Alti pali di bambù sono piantati fitti lungo la riva. Su ognuno di loro sventola una bandierina. Drappi rossi e gialli che si agitano appena. Un déjà vu. Poco prima di ritrovare Kurtz, la motovedetta del film di Coppola sfila lungo gli stessi pali e gli stessi drappi alineati sulle rive sabbiose del fiume. Nel film sono presagio di pericolo. Questi che vedo, invece, restano un enigma. Che cosa ci fanno là? Che cosa significano? Nessuna presenza umana nel raggio di chilometri. Alberi, innumerevoli alberi, coprono le rive. Liane che sfiorano l’acqua. Bambù che galleggiano. Incrociamo una piroga che scende. Le due barche accostano. I capitani scambiano qualche parola. I passeggeri dell'una e dell'altra si squadrano. Noi, nell'allontanarci, salutiamo. Loro, lao o akko, sorridono indolenti. Sto per insinuarmi in qualcosa di profondo. Sto per penetrare qualcosa che via via perde intelleggibilità. Non un percorso. Piuttosto una penetrazione…
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